TM   Luglio/Agosto 2023

Design thinking

Ciò che è desiderabile dal punto di vista umano unito con ciò che è tecnologicamente fattibile ed economicamente sostenibile. Un approccio che, nello sviluppo di prodotti, servizi, processi e organizzazioni, pone l’individuo al centro.

Carlo Secchi

di Carlo Secchi

Head of Sales Ticino di Sunrise Business

Il progresso tecnologico non è l’unico vettore dell’innovazione. Anzi, alla base di ogni pietra miliare del progresso umano, vi è senz’altro la creatività degli individui. Albert Einstein sosteneva che l’immaginazione è più importante della conoscenza, in quanto porta l’uomo a cercare (e talvolta a trovare) le risposte più eclatanti nell’ignoto. Dunque, l’attitudine di osservare la realtà da punti di vista diversi può spesso aiutare a trovare la soluzione a problemi apparentemente irrisolvibili. Niente di nuovo per scienziati e ricercatori e, in tempi più moderni, nemmeno per agenzie e studi di design.

Nel mondo dell’impresa, l’approccio all’innovazione basato sulla capacità di risolvere problemi complessi utilizzando una visione creativa è sempre più diffuso. La metodologia del design thinking aiuta infatti un numero crescente di aziende a risolvere questioni organizzative, a ideare e sviluppare nuovi prodotti e servizi e a rendere più efficienti i processi business.
Eppure, il metodo non è nuovissimo poiché la prima adozione può essere datata addirittura nel 1969, anno di pubblicazione di Science of Artificial che presentava un articolo firmato dallo psicologo e sociologo Herber Simon, il quale descrive l’applicazione di tecniche creative per la soluzione di problemi analitici. Il termine design thinking è tuttavia stato coniato agli inizi degli anni Novanta da David Kelley e Tim Brown, docenti alla Stanford University, successivamente fondatori di una società di consulenza che ha diffuso in tutto il mondo questa metodologia.

Un elemento determinante del design thinking è rappresentato dal lavoro di squadra, concetto inflazionato ma non sempre approfondito come meriterebbe. Fiducia e collaborazione unite alla consapevolezza che errori e fallimenti sono fattori di apprendimento e crescita, sono infatti indispensabili per applicare con successo questo approccio.

La trasformazione digitale ha dato un notevole impulso all’adozione del design thinking, specialmente in casi in cui è prevista l’introduzione di nuovi modelli di business e la conseguentemente progettazione di nuovi processi aziendali. Un elemento determinante di questo approccio è rappresentato dal lavoro di squadra, concetto inflazionato ma non sempre approfondito come meriterebbe. Fiducia e collaborazione unite alla consapevolezza che errori e fallimenti sono fattori di apprendimento e crescita, sono infatti indispensabili per applicare con successo il design thinking.

Ma come funziona? La metodologia prevede almeno cinque fasi distinte. Nella prima, il team lavora per specificare chiaramente problemi o obiettivi. Stabilire un clima empatico fornisce senz’altro ottimi stimoli per partire con il piede giusto. Si passa poi alla fase di studio del contesto, degli attori coinvolti, dei rischi e delle opportunità. La terza fase è dedicata alla generazione delle idee, alla loro analisi nel dettaglio, alla discussione e alla selezione di quelle meritevoli di ulteriore approfondimento. Il tutto attraverso brainstorming e riunioni anche tra sottogruppi ristretti, facendo largo uso di ‘post-it’, mappe mentali e disegno libero. Al termine di questa fase, è opportuno stabilire una ‘phase gate’ che consenta l’identificazione di un numero ancora più ristretto di soluzioni, da analizzare nella quarta fase, quella della validazione. Che si tratti di un prototipo, una proof of concept o una semplice sessione di test, l’obiettivo è comunque quello di verificare la fattibilità e l’effettivo valore aggiunto delle soluzioni identificate. L’ultima fase prevede quindi la realizzazione della soluzione e l’avvio in produzione.

Per quanto la cronologia lasci pensare a un processo lineare, è bene sapere che è possibile ritornare alle fasi precedenti ogniqualvolta il team dovesse ritenerlo necessario. Eventuali ostacoli o errori in fase di progettazione devono essere affrontati agilmente, ammettendo anche percorsi non efficaci e ripensamenti.
Alla base del processo, pensando alla possibile soluzione, è comunque necessario porsi i tre classici quesiti: è desiderabile? è fattibile? è redditizio o sostenibile?
Alla fine, oltre a soluzioni innovative e spesso dirompenti, il metodo può portare a costi progettuali ridotti e al consolidamento di un ambiente lavorativo dinamico e proattivo.

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