Paradisiaca con la sua natura incontaminata, le acque cristalline e le spiagge incastonate nella costa rocciosa mozzafiato, difficile immaginare che l’isola di Capri, oggi destinazione del turismo più esclusivo e glamour, un secolo fa sia stata crocevia di un fermento culturale che vide approdare i più originali intellettuali dell’epoca: artisti, scrittori, poeti, intellettuali, scienziati, politici e anarchici, sedicenti profeti… una stravagante fauna di personalità eccentriche, italiani, mitteleuropei, nordici e russi, qui si ritrovavano a condividere la ricerca di nuovi linguaggi e visioni. Fra i primi lo psichiatra e scrittore svedese Axel Munthe che, arrivato già a fine Ottocento, avrebbe ospitato tanto la regina di Svezia quanto Oscar Wilde nella sua villa San Michele, successivamente abitata dalla Duse e dalla marchesa Casati Stampa, allora la donna più ricca d’Europa. A frequentare Capri e Anacapri furono anche personalità del calibro di Gorkij, come tanti altri russi in esilio, il magnate dell’acciaio Friedrich Alfred Krupp, Peggy Guggenheim, Walter Benjamin, Pablo Picasso, Jean Cocteau e tanti altri ancora. L’apogeo lo raggiunse nel periodo fra le due guerre, quando in particolare fu casa di tanti futuristi, come Filippo Tommaso Marinetti, Benedetta Cappa, Enrico Prampolini, Francesco Cangiullo, Julius Evola, … Si abbozzò allora persino il progetto di farne una vera e propria comunità delle arti, sede di laboratori e mostre. Come tutte le utopie, Artopoli – questo il toponimo vagheggiato – rimase un’ipotesi.
Tra coloro che la accarezzarono, anche lo svizzero Gilbert Clavel (1883-1927). Appartenente a un’agiata famiglia originaria di Lione attiva nell’industria tessile e ben inserita negli ambienti del patriziato basilese, viene indirizzato dai medici ai miti climi capresi per alleviare i problemi di salute che una grave malformazione della colonna vertebrale e la sua debole costituzione gli recano in sorte. Il suo vivace spirito intellettuale non tarda ad ambientarsi in quella bizzarra colonia. Durante una gita in barca al largo di Positano, il suo gusto di appassionato archeologo rimane conquistato dal rudere di una torre pentagonale, che era stata baluardo contro i turchi. Acquistatala, ne fa il progetto di una vita, che di fatti lo accompagnerà per quasi vent’anni, fino alla morte nel 1927: i complessi progetti di ristrutturazione mobilitano un fitto sostrato di riferimenti simbolici ed esoterici, fra echi storici e suggestioni metafisiche, rispecchiandone l’indole colta e divertita. I tanti celebri ospiti che accoglie fanno di Castel Clavel, come la ribattezza, un fervido quanto precario cenacolo, a immagine e somiglianza del suo proprietario.
La svolta decisiva arriva nel 1916, quando durante un soggiorno a Roma l’amico Semënov, intermediario dell’impresario teatrale del Balletto Russo Djagilev, lo porta nello studio romano del futurista Fortunato Depero che sta lavorando a scenari e costumi dell’adattamento di Le chant du rossignol di Andersen. Tanta meraviglia e fantasia concretizza davanti agli occhi dell’eclettico studioso basilese le atmosfere oniriche che ha immaginato per la sua novella Un istituto per suicidi. Subito incarica l’artista di realizzarne le illustrazioni, invitandolo a lavorare nella sua torre, che ne ispirerà l’ambientazione.
È l’inizio di un sodalizio intellettuale e di una profonda sintonia spirituale il cui vertice artistico è rappresentato dalla realizzazione sperimentale de I Balli Plastici di Depero. Naufragato infatti il progetto affidatogli da Djagilev (i costumi che aveva disegnato, in pannolenci colorato sostenuto da intelaiature di filo di ferro, intrappolavano i ballerini in rigide movenze meccaniche) grazie all’incitazione di Clavel concepisce un progetto ancor più audace, applicando al teatro il programma etico ed estetico futurista: bandito l’attore in carne e ossa, lo spettacolo è affidato all’automa-marionetta. Depero ne costruisce un vero e proprio contingente per lo spettacolo che va in scena il 5 aprile 1918 al Teatro dei Piccoli di Roma, prototipo della favola meccanica con accompagnamento musicale.
Di quest’esperienza di complicità creativa, cui porrà fine un dissidio probabilmente economico nel 1922, dà testimonianza la mostra che, fino al 7 aprile, vede esposte nelle sale del m.a.x. museo di Chiasso 217 opere fra tele, disegni, schizzi, marionette e una ricchissima documentazione di fotografie, lettere, diari, album, manoscritti e altri materiali che permettono di offrire nuove prospettive sull’apporto di Gilbert Clavel alla cultura dell’avanguardia futurista e, in particolare, un affondo sull’esperienza de I Balli Plastici. A questi ultimi è interamente dedicata una sala che ne ripercorre tutte le fasi, dagli schizzi in china e matita, passando per le tele ad olio a 12 marionette, ricostruite nel 1980. La sala successiva si focalizza invece sull’imponente ristrutturazione di Castel Clavel che, dai minimi dettagli al disegno complessivo, permette di illuminare nei suoi poliedrici interessi culturali la figura dell’intellettuale svizzero, anche grazie all’epistolario con il fratello René, accompagnato da fotografie d’epoca.
Curata dallo storico dell’arte Luigi Sansone e dalla direttrice del museo Nicoletta Ossanna Cavadini, l’esposizione, che si inserisce nel filone dei maestri del XX secolo, vanta importanti prestiti di alcune preziose collezioni private e la sinergia con istituzioni di grande prestigio fra cui l’Archivio di Stato di Basilea e, soprattutto, il Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto (di cui La Casa d’Arte Futurista Depero, unico museo fondato da un futurista – lo stesso Fortunato, che poi la donò con il suo archivio al comune – è parte integrante). Fra le due istituzioni è stato stipulato un accordo di collaborazione internazionale. Questo battesimo, che ha visto anche Vittorio Sgarbi, Presidente del Mart, partecipare all’inaugurazione della mostra, promette di essere solo la prima occasione di un futuro di progetti comuni, con l’obiettivo di valorizzare lo scambio fra la cultura grafica svizzera e l’ambito artistico di cultura italiana, incoraggiando la ricerca storico-documentaria di settore che il know-how di questi due musei di riferimento consente di mettere a frutto.
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