TM   Maggio/Giugno 2023

Democrazia scavalcata

La tendenza a sottoporre tematiche di valenza politica a istanze giudiziarie e a trasporre in legge raccomandazioni di organismi internazionali non è priva di rischi per il processo democratico.

Stelio Pesciallo

di Stelio Pesciallo

Avvocato e notaio presso lo Studio 1896, Lugano

Sempre più frequentemente si verificano situazioni dove scelte raggiunte tramite decisioni democratiche, siano esse popolari o parlamentari, vengono fatte oggetto di ricorsi a istanze giudiziarie, per lo più internazionali che, se accolte, svaluterebbero o annullerebbero quanto deciso con gli strumenti democratici.
Analoga situazione si verifica quando decisioni adottate da organismi internazionali che sfuggono da una legittimazione democratica (denominate un po’ ipocritamente “soft law”) vengono trasposte nel diritto interno di uno Stato non sempre per libera scelta ma sotto la pressione di ritorsioni in caso di non adozione.
Casi emblematici della prima situazione sono relativi alla ‘questione’ climatica che viene sempre più spesso avulsa dal suo quadro politico per essere sottoposta a istanze giudiziarie per potere pervenire a esiti differenti da quelli dettati dagli strumenti democratici. È il caso portato davanti alla Corte europea per i diritti umani dal movimento ambientalista Greenpeace a nome di un sedicente gruppo di donne anziane per il clima. Queste hanno azionato la Confederazione Svizzera a Strasburgo in quanto quest’ultima, a loro dire, farebbe troppo poco per combattere quello che viene definito “riscaldamento globale” e in tal modo violerebbe, udite, udite, i “diritti fondamentali” delle persone anziane che si troverebbero a soffrire più di altri settori della popolazione delle ondate di caldo estivo.
Non ci consta che i giudici abbiano già deciso in merito ma, in considerazione dei precedenti, non ci sorprenderemmo più di quel tanto se la corte pervenisse a condannare il nostro paese anche su questa tematica.
È sintomatico che anche in questo caso si sia voluta delegare a un gruppo di giudici europei, tra i quali uno svizzero, la condotta della politica climatica della Confederazione: i giudici dovrebbero pertanto valutare se la strategia sul clima adottata dalla Confederazione sia in linea con le norme contenute nella Convenzione europea sui diritti dell’uomo. Mentre dovrebbe essere chiaro a tutti che la tematica del clima ha avantutto una valenza politica e non giuridica. Se si dovesse delegare ai tribunali la competenza di decidere su temi politici, si svaluterebbe il processo democratico che, per restare in tema di clima, proprio in questi giorni è oggetto di una consultazione popolare. Il valore del processo democratico, pur in tutte le sue manchevolezze, sta nella convinzione che lo Stato sia imperniato sulla volontà popolare e non su quella di un gremio di ‘eletti’ investiti di poteri assoluti.
Nell’ambito del diritto internazionale e della sua applicazione, si pongono le medesime problematiche di scelte democratiche e sovranità popolare. La Svizzera, Stato neutrale ma inserito in un contesto politico e economico internazionale, ha sottoscritto e sottoscrive accordi con altri Stati o comunità di Stati ai quali deve poi attenersi. Ma non sempre questi accordi vengono sottoposti alla decisione popolare, bastando la decisione delle Camere e talvolta del solo Consiglio federale. Alla luce di quanto si diceva è ovvio che questa situazione è tutt’altro che soddisfacente e vi sono state e vi saranno iniziative volte a estendere i diritti popolari anche a questo ambito, nonostante le opposizioni di ben individuabili settori della politica di ispirazione internazionalista.
Per gli internazionalisti è molto più comodo far passare i loro obiettivi sopra la testa della volontà popolare che da noi non per niente è chiamato il “sovrano”, sottoscrivendo accordi vincolanti con altri Stati, con il solo beneplacito parlamentare o persino dal solo governo.
Più preoccupante per i suoi risvolti sulla legislazione interna è l’uso invalso da decenni di trasporre nel nostro diritto decisioni adottate da organismi internazionali formati da funzionari nominati dai vari Stati, laddove l’influenza esercitata da alcuni di questi risulta determinante. Queste decisioni vengono definite “soft law” in quanto norme che non sono il risultato di un processo legislativo che sta alla base delle leggi emanate in uno Stato di diritto. Nonostante questa definizione, l’influenza esercitata da queste norme sul diritto interno di uno Stato è enorme e la mancata adozione è legata a misure di ritorsione che possono mettere in pericolo la libera determinazione e persino l’esistenza dello Stato stesso con il suo inserimento nelle così dette “liste nere”. Un esempio paradigmatico di soft law sono le ‘raccomandazioni’ emanate in continuazione nel campo della lotta al riciclaggio dal Gruppo di azione finanziaria (Gafi), il cui aggiornamento ha portato e porta all’adozione in Svizzera di prescrizioni sempre più vincolanti per tutto il settore finanziario, e non solo, sulla cui efficacia le valutazioni posso essere molto divergenti.
Ma anche in altri campi l’offensiva delle soft law si è fatta sempre più insistente. Di attualità è il Patto Onu sulla migrazione la cui applicazione in Svizzera da parte del Consiglio federale è stata all’ultimo momento evitata dal Parlamento.

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