A concretizzazione di un’iniziativa parlamentare dell’allora Consigliere nazionale Fabio Abate, dal primo gennaio 2019 la Legge federale sull’esecuzione e sul fallimento (LEF) ha finalmente previsto un meccanismo – all’art. 8a capoverso 3 lettera d – che consente all’escusso di chiedere in modo semplice e rapido all’ufficio d’esecuzione di non dar notizia a terzi di una procedura che lo concerne, per la quale il creditore non abbia proseguito con successo la procedura d’incasso, salvaguardando così la credibilità creditizia del debitore a fronte di esecuzioni ingiustificate e, non di rado, vessatorie.
Secondo quanto prevedeva il testo allora posto in vigore, gli uffici non potevano dar notizia a terzi circa procedimenti esecutivi qualora il debitore avesse fatto domanda in tal senso almeno tre mesi dopo la notificazione del precetto esecutivo, sempre che entro un termine di 20 giorni impartito dall’Ufficio d’esecuzione il creditore non fornisse la prova di aver avviato la procedura di eliminazione dell’opposizione.
Con una rigorosissima interpretazione letterale del testo di legge, in una sentenza del 22 giugno 2020 il Tribunale federale ha ritenuto sufficiente l’inoltro di una causa di eliminazione dell’opposizione da parte del creditore per far sì che l’esecuzione dovesse essere comunicata ai terzi, indipendentemente dall’esito della procedura e quindi anche qualora la relativa istanza del creditore sia respinta da un tribunale in modo definitivo, perché – così in pratica ha concluso il Tribunale – non è altrimenti specificato nel testo di legge.
Alla stessa stregua, in una decisione del 23 agosto 2021 (si noti: statuendo sulla continuazione del medesimo caso che ha dato origine a quella del 2020), l’Alta Corte ha poi considerato che il debitore non può neppure presentare una domanda di non dar notizia dell’esecuzione a terzi dopo la scadenza del termine di un anno, oltre il quale cioè – è bene ricordarlo – il creditore non può più chiedere la continuazione dell’esecuzione, perdendo così il precetto esecutivo ogni validità. Anche in questo caso, la motivazione è stata che il testo di legge, contemplando un termine minimo (di tre mesi dalla notificazione del precetto esecutivo) per chiedere di non dar notizia a terzi di un’esecuzione che si ritiene ingiustificata, ma non un termine massimo, rispettivamente non prevedendo letteralmente la possibilità di non dar notizia a terzi di un’esecuzione per la quale il creditore non può comunque più chiedere la continuazione, non sarebbe sufficientemente preciso e quindi non estendibile a simili casi (manifesti, ndr.).
Si tratta di due esempi emblematici di come, oggigiorno, l’attività legislativa debba essere spinta all’estremo per evitare che nell’applicazione pratica non se ne riconosca la volontà, giungendo a risultati indesiderati.
Per correggere le conclusioni paradossali del Tribunale federale e riaffermare lo spirito con cui era stata introdotta per non dar notizia a terzi di un’esecuzione che non può più avere seguito per inazione del creditore o inibizione da parte di un tribunale a salvaguardia della solvibilità di chi viene escusso senza ragione, il Parlamento ha infine dovuto precisare la lettera d dell’art. 8a capoverso 3 LEF come segue: “Gli uffici non possono dar notizia a terzi circa procedimenti esecutivi: […] per i quali il debitore abbia presentato una domanda in tal senso almeno tre mesi dopo la notificazione del precetto esecutivo, ma prima dell’estinzione del diritto di consultazione di terzi, sempre che entro un termine di 20 giorni impartito dall’ufficio d’esecuzione il creditore non fornisca la prova di aver avviato a tempo debito la procedura di eliminazione dell’opposizione; se tale prova è fornita in un secondo tempo o l’esecuzione è proseguita, gli uffici possono nuovamente dar notizia di quest’ultima a terzi, sempre che il debitore non fornisca la prova che l’istanza di eliminazione dell’opposizione non è stata accolta e che tale esito è definitivo”.
Se si pensa che le altre tre eccezioni all’obbligo di dar notizia a terzi di un procedimento esecutivo (contenute nelle lettere a, b e c dell’art. 8a cpv. 3 LEF), promulgate oltre trent’anni fa, assommano complessivamente a 32 parole, mentre quella di cui alla lettera d, introdotta nel 2019, ha avuto bisogno di due modifiche di legge e alla fine conterà ben 104 parole, suddivise in due periodi con nove subordinate, si capisce quanto i testi di legge si stiano sempre più complicando, tutt’altro che a beneficio della loro comprensione anche da parte di chi non abbia necessariamente studiato giurisprudenza (e spesso nemmeno per questi ultimi). Molto è sicuramente dovuto alla crescente complessità della nostra società e all’esagerata attività legiferativa del Parlamento. Del loro ce lo mettono però anche alcuni giudici che, anziché agire con pragmatismo, complicano a dismisura affari tutto sommato semplici.
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