Nell’immaginario collettivo, nell’antico Egitto il sovrano era equiparato a un dio dal cui volere tutto dipendeva: terre, edifici, persone e armenti. L’idea è mutuata dal racconto biblico dove al popolo d’Israele non si contrappone quello egizio, ma il Faraone (il termine è volutamente generico e ogni identificazione con un personaggio reale è vana), malvagio e dispotico. Fino a quando la decifrazione del geroglifico da parte di Champollion (1790-1832) non ha consentito l’accesso alle fonti dirette, il testo ebraico e le testimonianze degli autori classici, anch’esse assai fantasiose, hanno fornito un’immagine distorta dell’antico Egitto che, ancora oggi, continua a influenzare l’approccio scientifico ad alcuni ambiti della civiltà faraonica, primo tra tutti la religione. Con la pubblicazione, 60 anni fa, dello studio Die Heraufkunft des transzendenten Gottes in Ägypten, l’egittologo tedesco Sigfried Morenz ha invece dimostrato come il concetto di regalità sia incorso in un’evoluzione che, dall’eguaglianza monarca-dio (valida soltanto nella prima parte dell’Antico Regno, inizio XXVI – metà XXV secolo a.C.), ha portato all’affermarsi di un governante mero rappresentante di una classe sociale.
Si è così aperta la strada a una rilettura di stampo marxiano della storia economica: sbarazzatisi dell’ingombrante concetto della consustanzialità tra dio e monarca – propugnato però dalla stessa propaganda reale lungo tutto il periodo di vitalità della civiltà faraonica – è apparso con sempre maggiore chiarezza il ruolo giocato dai ‘domini divini’ nel sistema redistributivo della ricchezza. Tanto per citare un esempio eclatante, le riforme in ambito religioso propugnate da Akhenaton (metà XIV sec. a.C.) vengono oggi interpretate come un tentativo della casa regnante di contrapporsi allo strapotere, soprattutto economico, del clero del “dominio del Nascosto il Sole” (il tempio di Amon-Ra a Karnak). Secondo documenti di un secolo posteriori, i sacerdoti di Uaset (Luxor) possedevano e gestivano un patrimonio che comprendeva un terzo delle terre coltivabili del Paese e le risorse economiche che ne derivavano.
All’ambito economico può essere ricondotta anche la crisi che portò alla fine della IV Dinastia (prima metà XXVI – metà XXV sec. a.C.), l’epoca in cui furono costruite le piramidi di Snefru, Cheope, Chefren e Micerino. Nel papiro Westcar (XVII secolo a.C. circa) è contenuto il racconto in chiave favolistica dell’ascesa dei primi tre sovrani della dinastia successiva. Documenti contemporanei (ritrovati negli edifici amministrativi annessi alle piramidi dei sovrani) consentono di accertare che anche le ‘dimore eterne’ dei monarchi giocavano un ruolo centrale nell’economia dell’epoca. Palazzo e domini divini incameravano beni alimentari attraverso la tassazione dei terreni agricoli, ridistribuendoli tra i lavoratori dei settori economici secondari e terziari.
La crisi della V Dinastia (metà XXV – metà XXIV sec. a.C.) dovette comunque avere un forte e duraturo impatto sulle istituzioni tanto che la gestione del potere, fino ad allora di stampo tribale, fu sottoposta a un notevole allargamento. Ne è chiara dimostrazione l’ampliamento dei monumenti funerari dei funzionari più importanti, fenomeno che si protrae per tutta la VI Dinastia (fino a metà XXII sec. a.C.). Le pareti di questi sepolcri recano scene di vita quotidiana e tra queste alcune di baratto in cui vengono scambiati prodotti alimentari e artigianali, come sandali e bastoni. Si tratta delle più vivide e lampanti testimonianze dell’esistenza di una vivace economia privata che non doveva necessariamente tenere conto né del palazzo né della dimora del dio.
L’esistenza delle proprietà privata è invece testimoniata dalle “Carte di Heqanakht”, un lotto di papiri recuperato in modo fortuito in una sepoltura della riva Ovest di Luxor databile intorno al 2000 a.C. Si tratta di lettere e documenti contabili in cui Heqanakht tratta di affari relativi ad alcune sue proprietà terriere. L’affitto dei campi doveva essere coperto dalla produzione degli stessi e, qualora non sufficiente, dalla vendita di alcune stoffe. In una nota Heqanakht indica i salari da riconoscere a un gruppo di lavoranti. Le donne ricevevano di norma la metà degli uomini. Nihil sub sole novum.
Uno spaccato sulle relazioni economiche internazionali è invece fornito dalle “Lettere di Amarna”, circa 400 tavolette cuneiformi recuperate tra le rovine della capitale voluta da Akhenaton in Medio Egitto. Sono redatte in accadico, la lingua della diplomazia dell’epoca, e mostrano i rapporti tra sovrano egiziano, i re della regione siro-palestinese a lui sottomessi e le grandi potenze dell’epoca. Il quadro economico delineato risponde più ai desiderata dei mittenti che al reale scambio delle merci. Tutto è commerciabile: metalli preziosi, derrate alimentari, prodotti artigianali e principesse. Se però i re mesopotamici sono propensi a inviare le proprie figlie (così assimilano le ricchezze del genero), i faraoni se ne guardavano bene: in Egitto, nell’antico come in quello rurale odierno, la proprietà era ed è trasmessa per via femminile. I rapporti economici-commerciali tra le potenze dell’epoca risultano perciò sbilanciati e per così dire ‘schizofrenici’. La mancanza di un’aderenza a reali bisogni economici da parte dei vari attori coinvolti è giustificata dall’enorme distanza che li separava e che relegava ogni transazione nell’ambito più del virtuale che del reale.
L’antico Egitto si trovò ad affrontare un’altra profonda crisi economica alla fine del Nuovo Regno (XII secolo a.C.) quando lo stato centrale fu indebolito da lotte intestine e dall’aumento di potere delle popolazioni circonvicine. L’impossibilità di accedere alle miniere d’oro africane determinò un aumento del suo valore assestandolo su un rapporto quasi paritario con l’argento che, a causa della notevole distanza dai luoghi di produzione, era invece sempre risultato più pregiato e perciò più costoso (fino a un rapporto di 1:6, a vantaggio dell’argento).
I fatti economici di questo travagliato periodo sono documentati in modo assai vivido dalla messe documentaria proveniente da Deir el-Medina, il villaggio che ospitava gli addetti alla preparazione delle tombe nella Valle dei Re. Poiché i suoi abitanti erano in gran parte capaci di leggere e scrivere, sono sopravvissute moltissime note che testimoniano scambi di merce e prestiti di derrate alimentari e di altri prodotti di consumo. Non mancano neanche documenti ufficiali relativi a salari e premi di produzione distribuiti dai centri amministrativi locali. Tra queste ‘carte’ vi è anche un papiro, oggi al Museo Egizio di Torino, che conserva la più antica testimonianza di uno sciopero. Vi si riferisce di come gli abitanti di Deir el-Medina decisero di incrociare le braccia dopo avere atteso per mesi quanto dovuto. Correva il ventinovesimo anno di regno di Ramesse III (1150 a.C. circa).
In apertura: Il villaggio di Deir el-Medina, XII secolo a.C., che ospitava gli addetti alla preparazione delle tombe nella Valle dei Re. Moltissime le testimonianze di scambi di merci. © Francesco Tiradritti
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