
Tanto tempo fa, in una galassia lontana, stava una Piazza che sognava grandi cose che avrebbe voluto fare in poco tempo, e soprattutto bene, distinguendosi tra le sue dirette concorrenti nazionali, e mano mano anche quelle più lontane. Certo, le ambizioni tendono per natura a essere leggermente sopravvalutate, eppure erano in molti a condividerle, dunque molto più che una pia speranza doveva esservi. A distanza di qualche decennio il mondo è cambiato in misura radicale, la geografia finanziaria è evoluta, quella economica ne è stata completamente stravolta. La finanza in primis non è più quella di una volta, seppur paradossalmente conti oggi molto più di ieri.
«Sono nell’Associazione da oltre un ventennio, dal 2003, e posso sicuramente affermare siano stati anni molto complessi per il settore, ma soprattutto per la Piazza svizzera nel suo insieme, e quella Luganese in particolare. I primi Duemila alle nostre latitudini erano stati segnati dalle varie ondate di amnistie fiscali della vicina Repubblica, evoluti dal 2005 in questioni di natura più europea, dunque l’Euroritenuta e Rubik, per arrivare poi nel 2008 alla Grande Crisi, e al salvataggio di Ubs. Senza scordare la caduta del segreto bancario, e guardando a casa nostra, l’altrettanto significativa caduta di Bsi nel maggio 2016, due eventi altrettanto storici», esordisce così Franco Citterio, Direttore dell’Associazione Bancaria Ticinese (Abt).
Anni quindi densi di eventi, e ricorrenze, i cui sviluppi sono ancora oggi parte della quotidianità non solo degli operatori del settore, ma di milioni di persone, più o meno indirettamente coinvolte. «Nonostante in diversi casi non esista una relazione diretta tra causa ed effetto, è indubbio che tutto sia cominciato nel 2008, e nella più singolare delle circostanze. Scoppia la crisi a Wall Street, vacillano i giganti bancari, Berna corre a salvare il suo campione. È l’inizio degli attacchi, prevalentemente ma non solo di Washington e Londra alla nostra Piazza, che porteranno nel 2017 alla caduta del Segreto bancario, e dunque allo scambio negli anni successivi di informazioni relative a migliaia di nostri clienti anche con stati che di democratico non hanno ancora oggi nulla. Si può senza dubbio affermare sia stata una delle più grandi vergogne, e che non si sia fatto nemmeno lontanamente il possibile per impedirlo. È però sempre sulle ali del 2008, e non va dimenticato, che il comparto dei Gestori indipendenti ricomincia a correre», rileva Fabio Poma, Vice Presidente dell’Associazione Svizzera dei Gestori (Asg) e Managing Director di Wullschleger Martinenghi Manzini Group di Lugano.
In ordine temporale, l’ultimo trauma, e dei più sostanziali seppur passato in sordina, doveva però ancora arrivare. «Altra data fondamentale per il settore è certamente stata il 19 marzo 2023, con l’acquisizione di Credit Suisse da parte di Ubs, e la fine dei 150 anni di storia del secondo istituto bancario svizzero. La maggior parte delle conseguenze di tale operazione, che ha sicuramente lanciato un messaggio molto chiaro al resto del mondo, è ancora tutta da scoprire, e ci vorrà del tempo, ma il Ticino non dovrebbe esserne eccessivamente impattato, al pari di diversi altri cantoni di frontiera. Rimangono certo estremamente preoccupanti le ricadute che tale acquisizione avrà in termini sociali, occupazionali, economici e d’immagine per la Piazza, ma è altrettanto evidente che qualcosa doveva essere fatto, ed è innegabile che è stato fatto, e ha sortito degli immediati effetti positivi per tutti», riflette il direttore.
L’affaire Credit Suisse nei prossimi anni sarà certamente ancora destinato a far discutere, ma nell’immediato ha riacceso il dibattito sulla reale utilità di almeno una parte del mastodontico impianto normativo sviluppatosi negli ultimi anni. «Anche nel 2008 era evidente che qualcosa andasse fatto, la Crisi si era originata, tra le diverse cause, per l’assenza di regole in cui era indubbiamente prosperato tra gli altri il nostro settore. Gli eccessi del quadro normativo derivante hanno però scaricato i loro effetti principalmente sul settore bancario, il che ha ridato slancio al parabancario, e all’ecosistema degli indipendenti, sino a qualche anno fa risparmiati da buona parte degli oneri burocratici, che seppur parzialmente oggi stanno infine arrivando. Altro dibattito sarebbe invece l’analisi di tutti gli effetti che questa ondata normativa ha avuto, su clienti e operatori, al pari delle ‘misure’ adottate per uscire dalla Crisi, che a distanza di diversi anni stiamo ancora apprezzando», nota il vicepresidente.
A essere completamente cambiato è però l’intero quadro di riferimento con cui la Svizzera è chiamata inevitabilmente a confrontarsi quotidianamente, a partire dalla vicina Bruxelles. «È ormai un classico avere rapporti complessi con l’Unione Europea, al pari dell’eterna negoziazione di un nuovo accordo che possa dimostrarsi migliore dei precedenti, ma soprattutto risolutivo. È improbabile ci saranno sconvolgenti aperture da parte di Bruxelles, ma siamo fiduciosi del fatto che i negoziatori europei siano più ragionevoli rispetto alle risposte ottenute da Francia e Italia. La cornice normativa entro cui il sistema bancario dovrà operare dovrebbe essere chiarita il prima possibile, e stiamo facendo del nostro meglio perché solo gli istituti direttamente coinvolti a operare in Europa diventino soggetti al diritto europeo. A fine 2023 è stato raggiunto un importante accordo di mutuo riconoscimento con Londra, che ci ha riaperto un importante mercato, ma certamente il vero obiettivo dev’essere l’Europa, ferma restando la volontà popolare che ha più volte confermato l’indipendenza svizzera», evidenzia Citterio.
Molto spesso le regole del gioco sono il gioco stesso, e chi le scrive è l’indiscusso deus. Si può dunque ben comprendere quanto la questione sia determinante e dirimente, specie nel caso della Svizzera, e di uno dei suoi traini, l’industria finanziaria. «Il nodo è ancora tutto da sciogliere, e per quanto auspichiamo tutti possa essere raggiunto un accordo, e che questo possa essere confermato in una quasi certa conseguente sessione referendaria, è meglio non dare nulla per scontato, o cedere a facili ottimismi. Già oggi, in assenza di obblighi di legge, il sistema bancario è molto più restrittivo in termini normativi sulla clientela estera di quanto non dovrebbe, applica infatti normalmente la Mifid 2, e non soltanto la nostra Legge sui servizi finanziari, come dovrebbe. Le scuse sono molte, tra tutte sovente è scomodata la Convenzione di Lugano, ma allo stato attuale non ci sarebbe l’obbligo. La Piazza per quanto concerne i doveri si è di fatto già ampiamente uniformata alle regole europee, a rimanere molto remoti sono i diritti, a partire dal libero accesso al mercato unico, che invece è quello che più le interesserebbe», chiosa Poma.
La terza gamba. Oltre a Pharma e orologiero, è indubbio che la Svizzera sia patria della finanza, e diversamente da altre Piazze circa concorrenti, è altamente specializzata nel Wealth Management, con una tradizione di lunga data. Se però il pensiero istintivamente corre a Zurigo e Ginevra, la questione non si esaurisce lì. «Dentro e fuori Cantone si tende molto spesso a sottostimare la Piazza ticinese, non solo quale piattaforma di proiezione verso sud, ma anche in termini di competenze consolidate nel Private Banking, e di un ecosistema che negli ultimi quattro anni è tornato a crescere. È 35esima a livello globale secondo il Global Financial Centres Index, offre lavoro a ottime condizioni a oltre 12mila persone e nel suo insieme ha ancora un significativo gettito fiscale per la collettività, e contribuisce al 10% del Pil cantonale. Si tratta di dati oggettivi, che non si dovrebbe dimenticare. Nello specifico, la Piazza bancaria si conferma forte, pur al netto di Credit Suisse, ci sono istituti che stanno crescendo e soprattutto l’indotto è ancora molto importante, per quanto siano indubbiamente passati i fasti dei 78 istituti di una volta, e forse gli attuali 38 diminuiranno ulteriormente», precisa il direttore.
Bene o male il perimetro del settore bancario è tracciato e tracciabile, seppur segnato da scivoloni e scandali, oltre a molti successi, per natura meno mediaticamente interessanti. Ma la vera forza della Piazza qual è? «Si è soliti tacciare la galassia degli External Asset Manager di essere particolarmente polverizzata, e frastagliata, con migliaia di piccolissime realtà con due o tre collaboratori. Quello che si omette di dire è che in molti di questi casi si tratti di società non molto strutturate, certo, ma che servono una clientela soddisfatta e contenta della loro offerta. È una qualità completamente diversa da quella di gestori con decine di collaboratori, o realtà bancarie con centinaia e migliaia, ma è comunque tutta ricchezza, e di quella più preziosa, ben radicata nel territorio, e per natura poco mobile, diversamente ad esempio da istituti che a dipendenza del business potrebbero anche decidere di mollare gli ormeggi, e spostarsi», rileva il vicepresidente.
Pluralismo e diversità di idee e visioni sono la vera forza di una Piazza, al pari della numerosità degli operatori presenti, forse ancor prima della loro qualità. Una questione dibattuta, ma sempre discutibile. «Considerate le necessità quotidiane del mercato ticinese una decina di istituti sarebbero più che sufficienti, ma cosa ne sarebbe dell’indotto? Intorno alla Piazza vive una certa tipologia di immobiliare, un retail di un certo standing, opportunità lavorative e professionisti dal profilo internazionale, possiamo sperare di attrarre una certa tipologia di famiglie, oggi in uscita dal Regno Unito e non solo… Nonostante gli sforzi fatti negli ultimi anni che hanno compensato in parte il calo del peso specifico della finanza, allo stato attuale non vedo concrete alternative, il che dovrebbe essere di ulteriore sprone a fare il possibile per mantenere e migliorare le competenze che ci sono, diversificando il business model di quasi tutti gli operatori monoprodotto, Private Banking, e monomercato, Italia. Ovviamente molto facile a dirsi, complesso a farsi», nota Citterio.
Cosa aspettarsi dunque dal Ticino nei prossimi anni, all’insegna di una concorrenza sempre più accesa? «L’accesso al mercato europeo costituirebbe una chiara svolta, in grado di fare sì la differenza. È dunque improbabile che questo accada. Dalla nostra continuiamo ad avere una Svizzera stabile, politicamente ed economicamente, in un mondo sempre più instabile e conteso, il che sicuramente aiuterà anche la Piazza, elvetica e luganese. Non mi aspetto eccessivi sconvolgimenti nel breve, le masse non dovrebbero più andare disperse, ma è probabile passino di mano, sia a livello di clientela che di gestore. Tra cinque anni ci saranno stati sicuramente molti matrimoni, la geografia sarà dunque diversa, pur essendo l’ultima opzione che un gestore, pur in difficoltà, intraprenderebbe», rileva Poma.
Sono ormai anni che se ne discute, il consolidamento locale e nazionale è stato più volte annunciato, e non è mai arrivato. Quali le ragioni e perché dovrebbe essere oggi diverso? «Qualunque indipendente, lo suggerisce il termine stesso, tiene moltissimo alla propria indipendenza. È nato così, e molto spesso non condividendo più il progetto di una banca, è a tutti gli effetti un’iniziativa imprenditoriale a cui si tiene anche affettivamente. Che si tratti di una fusione, di un’acquisizione o di una cessione sarà sempre l’ultima delle alternative percorribili, di per sé ci sono importanti freni tecnici e legali, sono processi molto impegnativi, ma anche reputazionali: per quanto si possa conoscere bene la propria clientela, e tutti lo pensiamo, c’è sempre il dubbio che alla controparte possa essere sfuggito anche solo un dettaglio, dalle catastrofiche conseguenze. L’evoluzione del quadro normativo è però la ‘novità’, la garanzia a che questa volta sia diverso», conclude il vicepresidente di Asg.
Di strada ne è dunque stata fatta molta, e la Piazza si trova oggi confrontata con un fondamentale cambiamento, che salvo un netto cambio di mentalità, e forse anche persone, rischia di travolgerla. La vera domanda è dunque se saprà rimettersi in gioco. O forse se vorrà farlo.
Nata il 22 ottobre 1920, l’Associazione Bancaria Ticinese ha da poco passato il secolo di storia, un traguardo dei più significativi, indice forse del fatto che fosse destino che proprio a Lugano nascesse una Piazza importante. Eppure in questo generoso arco temporale molto è cambiato, nel bene e nel male. «Un dato dice molto dell’industria bancaria oggi: il 42% del personale in Ticino ha oltre 50 anni, il che pone più d’un problema, ma richiama anche l’attenzione sul fatto che ai più giovani la finanza in generale, e gli istituti ancora di più, interessano sempre meno. Ovviamente la nostra Piazza sconta anche qualche altro problema, il Ticino non è molto attrattivo per under 35 senza una famiglia, Zurigo e Ginevra patiscono molto meno questa tendenza, ma è una realtà», rileva Citterio.
Se ancora negli Ottanta e Novanta il problema non c’era, e anzi, la finanza era tra i settori più ambiti, molto è cambiato, a vantaggio ad esempio di digitale e tecnologia. «A livello di opportunità professionali, è questo uno dei momenti più interessanti per entrare nel settore. Il bancario non gode più dell’allure di un tempo, l’immagine che le banche offrono verso l’esterno dovrebbe essere sicuramaente migliorata, proprio perchè in termini concorrenziali il capitale umano è il vero fattore determinante, da qui gli sforzi e le iniziative che tutti stanno portando avanti, Abti inclusa. Anche in questo caso il quadro è però molto frammentato, il Ticino è infatti diverso da Zurigo, che è ancora diversa da Milano o Londra; le banche tradizionali si trovano in una condizione diversa da quelle più digitali e innovative, e nel caso degli indipendenti è ancora diverso. È sicuramente una tematica complessa», conclude il direttore.
Fondata nel 1986, l’Associazione Svizzera dei Gestori ha assistito a tutte le principali fasi che la Piazza elvetica ha attraversato negli ultimi quattro decenni, e a sua volta è cambiata. «Per molto tempo oltre a essere un luogo di scambio di idee e confronto, e difesa di interessi comuni, ha ricoperto, tra le altre, la funzione di organo di autodisciplina del settore, ruolo che di recente ha poi perso. A oggi delle oltre 1600 realtà svizzere indipendenti, circa 1000 ne fanno parte, di cui circa il 60% ha meno di cinque collaboratori. Si capisce quindi facilmente il perché della nascita negli ultimi anni di piattaforme come Aquila, che sono più che benvenute, e in parte anche dell’ammorbidimento dei criteri che Finma avrebbe voluto applicare con la nuova stretta normativa», rileva Poma.
La pressione esercitata dalle autorità dovrebbe però contribuire in misura significativa a ridurne il numero, in tempi sorprendentemente brevi, dopo decenni di vane attese. Ma… «Porre un’asticella troppo elevata, e costringere al formarsi di realtà molto grosse, sarebbe un errore. Oltre che ad andare sacrificata sarebbe l’invidiata da tutti vivacità della Piazza, ci si dovrebbe porre un salomonico ‘Cui prodest’. Se si dovesse artificialmente spingere, per assurdo, per avere 80-100 strutture, a quel punto molto grandi, si sarebbe perso molto, e ci sarebbe una concorrenza diretta e agguerrita con il sistema bancario, e senza possibilità di vittoria, dimenticando le logiche cooperative che hanno reso grande l’industria. La numerosità degli indipendenti, che è sempre bene sottolineare facciano in termini di raccolta il grosso del lavoro delle banche, è la migliore polizza sulla vita per un futuro prospero per l’intera Piazza», conclude il vicepresidente.
© Riproduzione riservata