Un uso spregiudicato, radicale del colore: impiegato in purezza, nella perentorietà delle cromie primarie accostate in combinazioni sperimentali; steso in grandi campiture piatte che irridono il chiaroscuro e riconducono la prospettiva alla semplificazione bidimensionale. Ancora oggi, non è difficile immaginarsi lo scandalo che una pittura tanto audace dovesse provocare al Salone d’Autunno del 1905, roccaforte di un conservatorismo oltraggiato da quell’esplicito assalto alle convenzioni. Quella che però si tenne nella sala numero 7 del Grand Palais, fu ben di più di “un’orgia di colori puri”, come ebbe a descriverla Louis Vauxcelles, influente critico d’arte che, tra i vari appellativi canzonatori usati per definire gli autori di quelle opere, sfoderò il ‘Fauves’ che li avrebbe consegnati alla storia dell’arte. ‘Belve’, ‘selvaggi’: così gli erano sembrati rispetto alla delicata scultura di fanciullo che si trovava al centro della sala, scolpita da Albert Marque alla maniera di Donatello. Una breve, folgorante stagione – dal 1904 al 1908 – che ha inaugurato l’arte moderna. La svolta coloristica che ne manifestava, quasi fisiologicamente, la rivoluzionarietà, annunciando una nuova sensibilità: affrancata dai principi tradizionali della composizione, non mirava a proporre una caricatura della realtà, come poteva sembrare, ma a esprimerla in maniera più autentica portando su tela la soggettività delle emozioni.
La Svizzera è stata la prima, al di fuori dalla Francia, a riconoscere l’importanza capitale del Fauvismo dedicandogli ‘già’ nel 1950 una mostra istituzionale, alla Kunsthalle di Berna. A distanza di oltre 70 anni, per coincidenze di calendario, si trova quest’autunno al centro della programmazione di due fra le sue maggiori istituzioni museali, la Fondation Gianadda di Martigny con Les années fauves e il Kunstmuseum Basel con Matisse, Dérain e i loro amici. Corale in entrambi i casi l’impostazione, con il pregio di non irrigidire la complessità di un movimento seminale che non ebbe mai una precisa identità formale né volle dotarsi di un manifesto programmatico, ma vide interagire costellazioni cangianti di artisti: Georges Braque, Charles Camoin, Émilie Charmy, Sonia e Robert Delaunay, André Dérain, Kees van Dongen, Raoul Dufy, Othon Friesz, Marie Laurencin, Henri Charles Manguin, Albert Marquet, Henri Matisse, Jean Puy, Maurice de Vlaminck e altri ancora.
Colpisce in particolare la qualità della proposta del Kunstmuseum Basel, in programma fino al 24 gennaio. L’accento posto sulle relazioni di amicizia e scambio che si crearono tra i Fauves, riesce a dar conto dell’unità di intenti e visione al di là dell’eterogeneità degli esiti espressivi, rispecchiata dalla varietà e dalla alta qualità delle 160 opere esposte.
Il percorso di visita, tematico-cronologico, chiarisce la genesi dell’avventura fauvista, individuandone i tre principali nuclei generatori: se il momento aurorale è da individuare nell’estate del 1905 che Matisse e Dérain trascorsero insieme a Collioure, località nel sud della Francia, entrambi avevano già iniziato a maturare quella vocazione precedentemente: Matisse, insieme a Marquet, Camoin, Puy e Manguin nella classe del simbolista Gustave Moreau all’École des Beaux-Arts di Parigi; Dérain nella periferica Chatou, condividendo atelier e scampagnate lungo la Senna con Maurice de Vlaminck. Dopo l’exploit autunnale, attirarono anche tre giovani pittori di Le Havre, Raoul Dufy, Georges Braque e Othon Friesz, che frequentavano allora le località costiere balneari, attratti dalla nascente industria del turismo e dei divertimenti, loro soggetto d’elezione.
L’anticonformismo degli esiti è evidente anche laddove vengono ripresi i generi più classici del ritratto e della natura morta. I Fauves furono anche i primi a collezionare arte primitiva, trovando un’affinità immediata con la linearità e l’urgenza di quelle opere, tuttavia il loro rimase uno sguardo eurocentrico. Non così invece verso il sottomondo della prostituzione, da cui provenivano molte modelle, cantanti e ballerine che posavano per loro, in opere che non esitavano a denunciare le contraddizioni di una società perbenista e patriarcale. Aspetto sul quale il Kunstmuseum Basel ha voluto presentare un affondo, grazie agli studi della storica parigina Gabrielle Houbre.
Sempre nell’ottica di meglio contestualizzare il movimento, molto interessanti sono le fotografie d’epoca della straordinaria Collezione Ruth e Peter Herzog che forniscono una visione della società di Belle Époque. Fra le chicche un ritratto di “Mère Weill”, prima mercante d’arte donna parigina, nonché – proprio per la posizione di outsider che ne faceva una patrocinatrice di talenti emergenti e non di rado emarginati – prima gallerista a dedicare una personale ai Fauves. Fu attenta anche alle artiste donne, che del gruppo furono una componente essenziale, a partire da Madame Matisse, che con i suoi disegni tessili fornì sostentamento al marito, ma soprattutto Émilie Charmy, compagna di Camoin, e la ‘fauvette’ Marie Laurencin, amica di Braque e amante di Apollinaire.
Fra le 160 opere provenienti da collezioni pubbliche e private internazionali, non mancano capolavori come Luxe, Calme et Volupté (1904) o La Gitane (1905) di Matisse o La Danse di Dérain, ma viene pure messo in valore (qui e anche a Martigny) un capitolo come quello delle ceramiche, che testimonia l’inclinazione alla sperimentazione di nuove tecniche e materiali tradizionali. Vasi, piatti e altri manufatti presentati al Salon d’Automne del 1907 segnarono di fatto l’epilogo di un’esperienza che, per quanto breve, avrebbe però presto germogliato su altri, affini, terreni. Braque e Dérain entrando nell’orbita di Picasso si preparavano alla stagione cubista (anche questo termine derivato da una recensione di Vauxcelles), mentre Matisse avrebbe lasciato la sua impronta sui futuri studenti della sua accademia privata e i lettori delle sue Notes d’un peintre. Anche perché se il fauvismo, come non dimentica il Kunstmuseum Basel, ebbe un ruolo centrale nello sviluppo internazionale dell’arte moderna in Europa, fu perché si inseriva in un contesto transnazionale di nascenti avanguardie che ne sposavano il discorso, dal Blaue Reiter a die Brücke, fino agli Stati Uniti. L’assalto delle ‘belve’ aveva dimostrato che le convenzioni accademiche non potevano più ingabbiare la moderna arte.
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Kunstmuseum Basel
Ma / Ve-Do 10-18; Me, 10-20
Fino al 21 gennaio 2024