TM   Novembre 2024

AI pronta all’uso

Tutti la chiedono, tutti la vogliono: eppure l’intelligenza artificiale, nuovo factotum dell’era digitale, ha bisogno dell’insostituibile tramite umano per dispiegare le proprie potenzialità nella concreta quotidianità operativa delle Pmi. Con la sua proposta di “AI actually delivered”, Artificialy ne è la dimostrazione. Una start up atipica, fondata da due che di AI si dilettano sin da tempi non sospetti, Luca Maria Gambardella e Marco Zaffalon.

di Susanna Cattaneo

Giornalista

Ai delivery
© Dall-E

Fondata nel 2020, attiva nello sviluppo di soluzioni di intelligenza artificiale, fatturato in aumento del 45% negli ultimi due anni, trenta collaboratori dai tre iniziali e lo sbarco dal Ticino anche a Zurigo, “piazza” to be: le caratteristiche ci sono tutte, eppure definire Artificialy una ‘start up’ sarebbe fuorviante, se non in quanto inizio di una realtà che dimostra di possedere un forte potenziale di crescita. I suoi fondatori non sono però i tipici dottorandi con un’idea disruptive alla prima avventura imprenditoriale, ma due che di AI e machine learning da tempo ne masticano: direttore per 25 anni dell’Istituto dalle Molle per gli Studi sull’Intelligenza Artificiale Usi-Supsi Luca Maria Gambardella e, direttore scientifico dell’Idsia dal 2019, Marco Zaffalon, fanno parte del top 2% scientist del ranking di Stanford, con centinaia di articoli scientifici pubblicati. Non hanno dunque avuto bisogno di mettersi in coda con il loro pitch per convincere i primi finanziatori, fra cui Ti-Venture, Fidinam e Swisscom, che l’ha scelta per il suo primo investimento nella Svizzera italiana.

A fare la differenza non è solo il pedigree scientifico: proprio la conoscenza del territorio acquisita in decenni di insegnamento e ricerca anche in dialogo con le aziende, ha permesso di individuare la propria Usp cogliendo le reali esigenze del mercato: «Volevamo fare qualcosa che ci stimolasse, dandoci al contempo la possibilità di aumentare l’impatto sul territorio. Abbiamo infatti raccolto la frustrazione da parte delle aziende di piccole e medie dimensioni che, interessate ad adottare l’intelligenza artificiale, si confrontano con la difficoltà di capire a cosa e come applicarla, di farsi sviluppare soluzioni personalizzate e, superato questo scoglio, di farle funzionare e mantenerle», spiega il Prof. Gambardella. «La nostra scelta più interessante credo sia stata di non investire tutto su un unico prodotto, come tipico di molte start up, ma di entrare nell’ottica di un’azienda di servizio cross industry, in grado di affrontare diverse tematiche e di garantire una “AI actually delivered”, come dimostrano le nostre applicazioni che, 7/7 h24, girano sui computer dei nostri clienti. Passare dal proof of concept, che tanti sono bravi a realizzare, all’industrializzazione è tutt’altro che evidente: non solo occorre sviluppare il software ma implementarlo, testarlo, validarlo e verificarlo».

Il capitale umano

Evoluzione del personale

Capitale umano
Fonte: Artificialy.

Un personale altamente qualificato

Titoli conseguiti dai 24 collaboratori tecnici

Personale altamente qualificato
Fonte: Artificialy.

Per quanto abituati a far previsioni servendosi dell’AI, i due soci non potevano immaginare che di lì a due anni sarebbe scoppiato il fenomeno ChatGpt. Provvidenziale, la sua popolarità ha dissipato l’aura magica che ancora circondava l’intelligenza artificiale, e con essa molti dei timori che ne frenavano l’adozione, rendendo le Pmi più permeabili. «La mentalità dell’imprenditore è cambiata, ormai non arriva più chiedendoci cosa sia l’AI, ma vuole capire come possiamo aiutarlo a ridurre sprechi e costi, ad automatizzare i lavori ripetitivi, efficientare i processi, fare analisi predittive, usare meglio i dati…», elenca Gambardella. Domande a cui Artificialy è ben attrezzata per rispondere. «Uscendo dalla logica dell’accademia che ragiona su tempi più lunghi e questioni più esplorative, abbiamo maturato la capacità di identificare i vari problemi che vengono messi sul tavolo e di indicare cosa sia risolvibile in breve e cosa richieda progetti più impegnativi. L’imprenditore vuole infatti, oggi come ieri, lavorare e far lavorare meglio i suoi collaboratori per essere più competitivo, quindi ha bisogno di indicatori e metriche per misurare il ritorno del suo investimento in AI. Non solo richiede, ma pretende concretezza, velocità efficacia ed efficienza», nota il cofondatore di Artificialy.

Abbiamo deciso di non investire tutto su un unico prodotto, come tipico di molte start up, ma di entrare nell’ottica di un’azienda di servizio cross industry, in grado di identificare rapidamente i vari problemi che ci vengono sottoposti e di garantire una “AI actually delivered”, come dimostrano le nostre applicazioni che, 7/7 h24, girano sui computer dei clienti.

Luca Maria Gambardella

Cofondatore e CTO di Artificialy

Dati, immagini e processi sono la terna dei principali ambiti di intervento: i primi, in particolare, per favorire la fidelizzazione del cliente estraendo modelli predittivi del comportamento degli utenti. Se qui è soprattutto il settore dei servizi a farsi avanti, immagini e processi sono al centro delle richieste dell’industria, ad esempio per controllare la qualità dei pezzi prodotti da una macchina utensile oppure per ottimizzare l’efficienza e la velocità dei sistemi di produzione. Sostanzialmente equipartita fra secondario e terziario, la clientela di Artificialy spazia da istituti bancari e assicurazioni, a manifatturiero, edilizia, logistica fino agli enti pubblici. Ben più del 50%, fatta la prima esperienza, torna per un progetto più impegnativo: la miglior pubblicità.

Per coprire l’ampio spettro di tematiche affrontate, Artificialy ha nutrito di talenti il suo team, oggi di una trentina di collaboratori che affiancano Luca Gambardella in veste di CTO, Chief of Applied AI, e Marco Zaffalon, COO, Chief scientist. Profili con variegate competenze in ambiti AI e ML (età media 26,5 anni), guidati da un Head of Client Solutions, un Head of Deep Learning e, nuova acquisizione, un Head of Swiss German Region. Da questo primo novembre Artificialy è di casa anche sulle rive della Limmat, naturale mercato di sbocco per fare il salto di categoria. Già oggi la sua clientela si colloca per metà fuori cantone – meno nomi ma più grossi di quelli locali – qualcosa in Nord Italia, ma soprattutto in Svizzera interna: il maggiore cliente si trova oltre Gottardo, ed è un’assicurazione di Berna la prima ad aver sperimentato PrivateGpt, asso nella manica di Artificialy. ChatGpt non ha in effetti solo sdoganato l’AI, ma nel farlo ha mostrato alcune sue stesse criticità che aprono nuove opportunità di sviluppo.

Marco Zaffalon presenta PrivateGpt, LLM di Artificialy, di cui è cofondatore e Coo. Un’alternativa a ChatGpt, con garanzia di assoluta riservatezza dei dati.

«PrivateGpt è il nostro Large Language Model per rispondere al problema della privacy dei dati e di controllo della tecnologia con cui si confrontano le aziende che, utilizzando ChatGpt per chiedere ad esempio una sintesi o una traduzione, si trovano a condividere con un server negli Stati Uniti mail, manuali, contratti e altri documenti con vincoli di riservatezza. Abbiamo quindi costruito in casa, riservando al progetto un team dedicato, la nostra rete neuronale. In parole semplici, si parte da blocchi di dominio pubblico – la nostra ‘creta’ – che vanno però ‘modellati’, sia con una parte di linguaggio, sia con un modulo di traduzione (che già funziona molto bene e su cui a breve annunceremo ulteriori novità) e poi abbiamo sviluppato un potente motore di ricerca semantico attraverso il quale la macchina è capace di rispondere alle specifiche richieste del cliente, analizzando i suoi documenti. Il tutto on premises, installato localmente nei server dell’azienda, senza necessità di connessione a Internet e scalabile in base all’utilizzo», evidenzia il CTO di Artificialy. Una soluzione versatile e personalizzabile, capace di comprendere e generare testi rispettando i massimi livelli di riservatezza e precisione, come vogliono settori quali finanza, assicurazioni, studi legali, manifatturiero, sanità e pubblica amministrazione.

Se un problema delle Pmi è anche quello di non disporre spesso in casa dei data engineer che possano occuparsi di estrarre dati di qualità e coordinarsi con chi sviluppa le soluzioni di AI che intendono implementare, Artificialy fornisce anche l’intelligenza umana: «I nostri specialisti su progetto sono abituati a capire il linguaggio delle aziende. Sono talenti con una natura più pragmatica del ricercatore accademico puro. In Artificialy trovano il ‘gusto del delivery’, vedere il cliente soddisfatto e il software che gira senza bag. Per attrarli e non farseli soffiare, occorre saperli stimolare e qui ci aiuta la varietà stessa dei progetti che offriamo con il nostro approccio cross-industry, oltre a tutto il possibile per farli crescere e sentire apprezzati, e ovviamente anche gli aspetti economici contribuiscono», ammette Luca Gambardella.

A caccia di talenti in tutta Europa

Provenienza dei dipendenti

Talenti in tutta Europa
Fonte: Artificialy.

Il mix di specializzazioni

Profili dei dipendenti

Il mix di specializzazioni
Fonte: Artificialy.

L’AI è entrata nella sua vita quando ancora era agli albori: quarant’anni fa, si laureava proprio con una tesi sull’intelligenza artificiale e, prima di prendere la strada accademica, lanciava una start up, Archimede, che vendeva software di contabilità e già faceva qualche consulenza sull’AI per le banche. Poi la chiamata da Lugano, da parte di un certo Angelo Dalle Molle che lo invita a unirsi al suo nascente istituto… poteva sembrare un azzardo: correva il 1988 e nessuno prevedeva che nel 2024 il mercato globale del’AI avrebbe sfiorato un valore di 185 miliardi di dollari, con previsioni di crescita che lo proiettano verso il trilione nel 2027. «Allora il visionario non ero io, ma il signor Dalle Molle, che ha voluto battezzare l’istituto affiancando al suo cognome quella allor quasi ignota “intelligenza artificiale” e che ci pagava gli stipendi tutti i mesi. Siamo stati il primo centro di ricerca di AI in Svizzera, fra i primissimi a usare i processori grafici di Nvidia, che nel 2016 ci ha inseriti nei dieci istituti pionieri dell’AI», ricorda Luca Gambardella.

Se l’Idsia Usi-Supsi è stato un luogo di cultura dell’AI, il salto nel mondo del business si è avuto solo una decina di anni fa, sostanzialmente quando Google ha comprato DeepMind… fondata da un PhD student del Dalle Molle! «Quando sono arrivati i grossi player, i pesi sono completamente cambiati, con investimenti stratosferici. Cogliendo l’esigenza, nel nostro piccolo, all’Università della Svizzera italiana, abbiamo lanciato il Master in AI, il primo in Svizzera», rivendica Luca Gambardella che ne è responsabile. Dal 2021 si è aggiunto anche un ruolo istituzionale: «Come Prorettore all’innovazione e alle relazioni aziendali dell’Usi il mio obiettivo è avvicinare sempre più l’università al territorio. Dunque un ruolo più strategico e ampio, per rappresentare tutte le anime dell’ateneo, non solo quella scientifica. Per mettere in dialogo imprenditori e professori abbiamo già creato la formula “Round Table”. Penso infatti che l’accademia possa supportare gli imprenditori non solo con progetti di ricerca applicata, ma anche a un livello di visione, presentando quello che si muove all’orizzonte per aiutare le aziende a indirizzare i loro prodotti e servizi verso l’innovazione del futuro», sottolinea Luca Gambardella, anche responsabile dell’Usi Startup Centre. Se, quando era lui a essere studente, questo mondo poteva solo immaginarlo da appassionato di fantascienza, adesso, nel pieno della rivoluzione, non nasconde di starsi molto divertendo. Di questo universo che, ancora vicino al suo Big Bang, si sta espandendo a velocità impressionante, Artificialy non è che un piccolo pianeta, ma ha sicuramente il merito di dimostrare, come una sorta di proof of concept dell’AI, che l’intelligenza artificiale può già essere vera pratica quotidiana anche per le Pmi.

Anche appassionato lettore – e lui stesso scrittore, autore di tre romanzi – Luca Gambardella ci ha suggerito anche tre titoli sull’Ai: non testi didattici – quelli li può facilmente suggerire qualsiasi motore di ricerca – ma spunti per stimolare la riflessione. E non si poteva che partire da Asimov, con cui è cresciuto: «Non si può parlare di intelligenza artificiale senza averlo letto, la Trilogia della Fondazione, ma non solo. Già negli anni ’50 poneva domande fondamentali su come le macchine, pur vincolate da un certo insieme di leggi etiche, possano incorrere nel conflitto tra intelligenza artificiale e umanità. Un altro libro interessante, del 1986, è La società della mente di Marvin Minsky, pioniere dell’intelligenza artificiale che, in questo caso con un testo saggistico all’inizio molto facile e divulgativo, poi via via più tecnico ma sempre molto affascinante, cerca di rispondere alla domanda posta nelle pagine iniziali: “Come è possibile che il cervello, in apparenza così solido, sia il supporto di cose tanto impalpabili come i pensieri?”», suggerisce Luca Gambardella. Il terzo consiglio trae spunto da uno degli appuntamenti di “Usi incontra x” che il primo ottobre ha ospitato – facendo il tutto esaurito in Aula Magna – il celebre fisico e inventore Federico Faggin, padre del microprocessore (“Prima di lui, la Silicon Valley era solo la Valley”, ha dichiarato Bill Gates): «È anche autore di diversi libri che trattano il tema della coscienza, dibattendo se la macchina potrà mai raggiungere la stessa intelligenza cognitiva degli esseri umani. Per iniziare propongo Irriducibile, titolo che allude appunto a quel qualcosa che rimane prerogativa umana», conclude il cofondatore di Artificialy. Buona lettura!

© Riproduzione riservata